La FIA starebbe pensando di far tornare nel calendario della F1 il GP della Corea. La motivazione è puramente geopolitica. Sostituire il tracciato di Shangai con quello di Yeongham, inutilizzato dal 2013, permetterebbe alla Federazione di prendere ulteriori distanze dalla Cina, una delle pochissime nazioni ancora in contatto con la Russia, nonostante la guerra in Ucraina. Ad indignare, però, è l’ipocrisia della FIA che continua ad appoggiare i paesi del Medio Oriente con la politica di sportswashing.
La FIA e la F1 aumentano le distanze da Cina e Russia: torna il GP di Corea?
Sin dallo scoppio dalla guerra in Ucraina, la FIA ha apertamente dichiarato la propria indignazione nei confronti della Russia annullando tutti i contratti firmati con il tracciato di Sochi. Tutti i piloti di nazionalità russa, inoltre, devono gareggiare sotto bandiera neutra o di un altro paese di cui posseggono la cittadinanza. Il team Haas ha comunque deciso di licenziare il loro pilota, nonché principale finanziatore, Nikita Mazepin. La scelta è chiara: non c’è posto per un paese implicato in una guerra nella F1.
Le scelte della Federazione, però, non si sono fermate qui. I vertici starebbero pensando di far tornare nel calendario il GP della Corea per sostituire definitamente il circuito di Shangai, dove non si corre dal 2019 per via della pandemia da COVID-19. In questo modo, la F1 prenderebbe ulteriori distanze dalla Russia, essendo la Cina uno dei pochissimi paesi ad avere contatti con il Cremlino, nonostante lo scoppio della guerra in Ucraina. Il tracciato di Yeongham non partecipa al mondiale della classe regina delle quattro ruote dal lontano 2013, anno in cui la FIA decise di non correre più in Corea del Sud per problemi economici e il poco entusiasmo della popolazione coreana.
Lo Sportswashing attuato dalla F1 in Medio Oriente
La scelta della FIA è più che lecita, anzi doverosa. A creare indignazione, però, è l’ipocrisia dimostrata dalla Federazione. I rapporti con Russia e Cina sono stati troncati, ma con i paesi del Medio Oriente? Assolutamente no, sono stati addirittura intensificati. Qatar, Bahrain, Abu Dhabi e Arabia Saudita sono ormai tappa fissa della Formula 1. I problemi riscontarti in tematiche ambientali, equità di genere e pari diritti umani preoccupano ben poco la direzione di Stefano Domenicali.
E’ stata attuata una vera e propria operazione politica di sportswashing, ovvero una pratica tramite la quale i governi si avvalgono dello sport per recuperare la reputazione compromessa da condotte illecite. Il CEO della F1 ha dichiarato al The Guardin di essere orgoglioso di poter sfruttare la popolarità del motorsport per mostrare al mondo i passi avanti fatti, a detta sua, del Medio Oriente.
“Ad punto di vista personale mi accettare sfide di questo tipo. Posso cercare di portare avanti quello che ritengo giusto aprendo una discussione sui problemi del Medio Oriente. Ne sono orgoglioso. E’ facile criticare ma credo che con il soft power, nel contesto giusto e nel modo giusto, sia possibile ottenere risultati. Gestisco uno sport che ad oggi è molto di più un sempre sport. Sento che, grazie alle relazioni che stiamo istaurando nel mondo, possiamo trasmettere dei valori positivi“. – Stefano Domencali
Domenicali può avere tutte le buoni intenzioni del mondo, ma le sue parole sono abbastanza rassicuranti? Il Medio Oriente sta veramente dimostrando al resto del mondo di aver finalmente cambiato la propria rotta verso una politica più equa e solidale? Le parole, al momento, servono a ben poco. Solamente i fatti potranno far cambiare idea. Di certo, però, rimane che fino a quel momento la FIA e la Formula 1 non devono nascondersi dietro un velo di ipocrisia. Se la Russia è stata, giustamente, condannata all’esclusione del calendario, forse la stessa sorte dovrebbe toccare anche ai Paesi Arabi.
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Mara Giangregorio