nina rindt
Nei terribili anni '60-'70 le donne in F1 si sono ricavate il loro posto, come Nina Rindt, iconica cronometrista e non solo moglie di Jochen.

Spesso il mondo del motorsport non è solo considerato di difficile accesso, ma anche pieno di pregiudizi, soprattutto nei confronti delle figure femminili. In F1 in particolare c’è però stato un tempo in cui le donne avevano un ruolo fondamentale per i loro piloti. Erano gli anni delle cronometriste di cui Nina Rindt è forse la rappresentante più iconica.

Nina Rindt: chi è l’iconica cronometrista della F1?

Nina Madeline Lincoln, oggi conosciuta come Nina Rindt, è una delle iconiche figure femminili che hanno popolato il paddock di F1 nei terribili e affascinanti anni ’60-’70. Classe 1943, è figlia del pilota finlandese Curt Richard Lincoln. La storia di Nina non si intreccia però con il mondo delle corse fin dall’inizio, ma parte dal mondo della moda. Negli anni ’60 infatti la sua carriera la porta ad essere uno dei volti dello stile di quei tempi, oltre che sulle passerelle più importanti come quelle di Parigi e New York.

Nel 1967 giunge il matrimonio con Jochen Rindt, pilota austriaco di F1; unione da cui nascerà anche una bambina, Natasha. Nina e Jochen sono poi destinati a diventare una delle coppie più famose di quegli anni nel Circus. Una felicità palpabile, destinata, come spesso accadeva, a non durare in eterno. La presenza di Nina Rindt sulle piste di F1 era però una costante; l’ex modella si era infatti ritagliata il suo posto, insieme ad altre donne. All’epoca, nonostante quelli che potevano essere maggiori pregiudizi, il loro ruolo era fondamentale. Con cronometro e taccuino alla mano non erano solo mogli, fidanzate o compagne. Erano cronometriste, precise e rapide.

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Photo Credit: F1.com

Ed è proprio quel suo immancabile cronometro ad aver tradito la fiducia di Nina Rindt. Una fiducia data dalla speranza di poter segnare ancora un tempo, di poter vivere anche il prossimo giro. Durante il GP d’Italia, a Monza, uno dei giri di Jochen Rindt cronometrato da Nina non è mai stato stoppato. Il suo ultimo giro. Il 5 settembre 1970 Nina Rindt è come di consueto al suo posto, su un trespolo della corsia box, taccuino e cronometro in mano, pronta a svolgere il minuzioso lavoro. Quel giorno i giri annotati da Nina saranno però solo quattro; sul quinto continuerà infatti a vedere i secondi scorrere, ma non la Lotus di Jochen spuntare ad inizio rettilineo. “Vieni Nina, Jochen si è fatto male”. Saranno queste le parole con cui Jackie Stewart, grande amico di Jochen, metterà fine alla storia tra Nina Rindt e la F1.

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Non solo la moglie di Jochen Rindt

Il mondo della F1 ha dimostrato fin dalla sua nascita di essere un’élite non accessibile a tutti. Una piccola cerchia che fin da subito si è resa unica come sinonimo di velocità ed evoluzione tecnologica, ma non solo. È esistito infatti un tempo in cui il Circus poteva essere paragonato ad una piccola Hollywood nomade. I piloti e le donne che li affiancavano erano celebrità a tutti gli effetti, icone del glamour dell’epoca. La figura della donna ha sempre avuto una considerazione controversa, quasi vista solo come un qualcosa da sfoggiare. Eppure, più di cinquant’anni fa, c’è stato un momento in cui queste donne si erano affermate come colonne fondamentali in un mondo retto per lo più da uomini.

Nina Rindt è forse l’esempio più rappresentativo di questo gruppo che il tempo, con l’avvento dell’era digitale, ha reso obsoleto. Nonostante i pregiudizi più forti che potevano esistere, alla fine degli anni ’60 la figura femminile non era più “la moglie o la compagna di”. Erano cronometriste, lavoratrici importanti in uno sport dove il tempo sul giro può fare la differenza. Con il cronometro in una mano e il taccuino in un’altra, le donne che popolavano il paddock a quei tempi restituivano una figura ben diversa da quella immaginata. Il sostegno ai loro piloti non era dato infatti con la sola presenza, ma con un lavoro che si sono prese dimostrando di avere un posto ben preciso in quel mondo.

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Photo Credit: Twitter

Un’occupazione che forse era anche voluta per uno scopo ben preciso. La morte in quegli anni era purtroppo una fedele compagna della F1. Segnare giro dopo giro il passaggio dei propri piloti voleva dire speranza. Un altro passaggio completato, un altro giro inno alla vita che il Circus tendeva a portare via. Donne forti che hanno fatto della loro presenza un ruolo fondamentale e non solo una figura sofferente in attesa di vedere una macchina spuntare all’ultima curva.

Donne che hanno saputo unirsi nelle difficoltà di un mondo chiuso, hanno saputo ricavarsi un posto e far sentire la propria voce. Un ruolo che il tempo ha spazzato via ma che il mondo non ha dimenticato. “Il modello Nina Rindt” è infatti uno dei cronometri del marchio di lusso Universal Genève più noto ai collezionisti. Un oggetto all’apparenza che porta con sé non solo la storia di una grande donna ma anche un forte messaggio. Il proprio posto, in un mondo di pregiudizi, possono avercelo tutti.

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Chiara Zambelli

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