Il 1° maggio 1994 è una data che da 29 anni resta impressa nel mondo della F1 e non solo. Il 1° maggio 1994 ci lasciava infatti Ayrton Senna, nell’ultimo giorno di quel tragico weekend del GP di San Marino. Per ricordare Ayrton Senna abbiamo chiesto a Carlo Cavicchi, giornalista e scrittore che lo ha conosciuto, di raccontarci il pilota brasiliano tre volte campione del mondo.
Ayrton Senna nel ricordo di Carlo Cavicchi
Ayrton Senna è uno di quei piloti simbolo nel mondo della F1. Un perfezionista, un campione, ma soprattutto un uomo, come i tanti che guidano quei bolidi quasi nascosti sotto ai caschi colorati. Tra chi ha avuto la fortuna di vivere quell’uomo c’è Carlo Cavicchi, che ci ha raccontato così Ayrton Senna.
Carlo, possiamo dire che hai avuto la fortuna di vivere e lavorare in quel momento dove i piloti si conoscevano anche senza il loro casco addosso. Tra questi c’era anche Ayrton Senna. Dunque chi era Ayrton pilota e chi invece Ayrton uomo?
“Di Ayrton pilota si sa tutto, ci si perde dietro a complimenti che sembrano quasi falsi quanto sono scontati. Invece l’Ayrton uomo, l’Ayrton che ho conosciuto, era una persona deliziosa che mi ha veramente gratificato con la sua disponibilità. Tutte le volte che veniva a Bologna ci si vedeva; veniva a trovarci anche ad Autosprint. Era una persona con cui si stava bene assieme anche se era un po’ monotematico; lui parlava sempre e soltanto di automobili”.
“E possibilmente cercava di sapere tutto sugli avversari, di quello che si sapeva e che facevano agli altri. Tutto questo però lo faceva con garbo ed era piacevole starci assieme; io poi ho avuto anche la fortuna di scrivere con lui un libro a quattro mani e posso assicurare che era uno che si apriva molto e che raccontava molte cose. Sai, oggi parlare di Senna è facile, tutti ne parlano bene; all’epoca invece era un personaggio divisivo, aveva tanti fan ma anche tanti contro. Essere nella parte amica è stato per me una grossa opportunità e anche una fortuna e un piacere”.
Ayrton Senna è diventato un simbolo nel mondo della F1. Secondo te perché? Che cosa ha dato Ayrton di più rispetto magari ad altri piloti che comunque vengono ricordati ma non così?
“Ayrton era probabilmente il più forte della sua epoca; non amo fare i confronti tra le varie epoche, ma lui sicuramente era un pilota fortissimo che è morto anche in una maniera molto spettacolare. Questo ha aggiunto al suo alone di numero 1 anche questa sparizione che ha generato tanto dolore negli appassionati, nei suoi tifosi ma anche nei non tifosi, perché comunque era un campione che se n’è andato in quella maniera… Ha costruito su se stesso una leggenda”.
Ayrton Senna: l’uomo campione
I numeri di Senna non sono un segreto, così come alcune delle sue indimenticabili prestazioni in pista. Non solo però, perché dietro al tre volte campione del mondo brasiliano c’è sempre stato un essere umano sensibile, gentile, semplice. Da un libro scritto insieme fino a quel tragico 1° maggio, passando per alcuni ricordi che Carlo Cavicchi ci ha raccontato.
Come detto, tu hai scritto un libro insieme a lui, Senna Vero. Com’è stato lavorare insieme ad Ayrton Senna?
“Scrivere con lui è stato divertente perché ho scoperto in lui una grande capacità anche critica verso se stesso. Lui non ha voluto eliminare anche quelli che sono stati i suoi errori o certe lezioni che ha avuto dagli avversari. Per esempio, quando ha avuto una lezione da Alboreto a Zeltweg. Lui lo aveva disturbato ad Hockenheim e Alboreto, quando facevano la qualifica, lo ha aspettato in mezzo alla pista e gli ha frenato davanti all’improvviso; Senna ha sbattuto e all’arrivo Alboreto gli ha detto “la prossima volta starai più attento a non disturbare gli altri”. E lui (Ayrton Senna, ndr) lo dice per dire quanto ha imparato”.
“Oppure quando ebbe il problema con Mansell, con quest’ultimo che andò al box e attaccò Ayrton al muro prendendolo su di peso e dicendogli “questa volta ti sollevo, la prossima volta ti strozzo se lo rifai”. E Senna la riporta come un’altra cosa che ha imparato da certi suoi comportamenti per migliorare e diventare quel pilota pressoché perfetto che è stato. Nel libro lui si racconta molto e racconta non parlando solo di sé ma anche degli avversari e spesso con ammirazione. Lavorare con Ayrton è stato facile perché nel nostro mestiere si dice che uno è bravo quando ti dà un titolo, quindi ti dà delle risposte che hanno un senso, e lui ne dava di continuo quindi era facile; poi diventava anche complicato perché era abbastanza pignolo, pignolissimo, voleva controllare ogni virgola”.
Il primissimo ricordo che hai di lui?
“Il mio ricordo si fa all’85 quando lui era venuto per le prime prove che c’erano state a Imola e venne accompagnato da Andrea Ficarelli, un nostro giornalista con cui erano amici fin dai tempi del kart, a trovarci ad Autosprint. Un ragazzino con la valigetta come un manager, una cosa abbastanza inusuale per un pilota avere la valigetta dietro, dove lui teneva tutto. Ricordo che lui proprio disse che stava già programmando il suo futuro, che brevettava tutto quello che faceva compreso il suo nome, il nome e il cognome, perché lui sarebbe diventato campione del mondo e dunque nessuno doveva sfruttare la sua roba. Fu un impatto, perché era un ragazzino, giovane e debuttante in F1. Un qualcosa di molto forte”.
L’ultimo ricordo che invece ti lega alla sua storia?
“A quel giorno tragico posso dire che lego un po’ quella che è la mia medaglia professionale. Noi fummo come giornale i primi a credere che si fosse rotto il piantone dello sterzo. Per sei mesi con Autosprint, siamo usciti in copertina con “Vogliamo la verità”. Io ero Direttore e ho avuto molti problemi e molte cause, come quelle di Williams, Head, Mosley, perché noi andavamo avanti a cercare di indagare, una cosa che il mondo della F1 non accettava. Eravamo tutti abbastanza tesi, da non dormirci la notte. Però siamo andati avanti. Dopo che la sentenza lo ha ufficializzato, per tutti è diventato normale dire che si è rotto il piantone sulla Williams di Senna; ma al tempo non lo era proprio, si davano tutte altre colpe. Questo mi lega inevitabilmente per la vita alla vicenda di Ayrton”.
Carlo Cavicchi racconta Ayrton Senna: “Quella volta che…”
Ayrton Senna era un perfezionista, un pilota per cui arrivare secondo non era un’opzione. Le sue rivalità sono storiche così come la profonda ammirazione che spesso si nascondeva dietro a queste rivalità. Come ha ricordato Carlo Cavicchi, Ayrton non era solo macchine e corse, nonostante l’argomento spesso ricorrente nelle sue conversazioni.
Ci racconti qualche storia particolare che hai vissuto con Ayrton Senna fuori dalle piste?
“Lui era tanto paziente nei miei confronti. Non mi posso considerare un vero amico, ci divideva un po’ l’età, dunque amicizia sarebbe una parola grossa; diciamo che mi voleva bene. Era sempre tanto carino. Una volta venne a Bologna, era l’89 e lui era già campione del mondo con la McLaren, per le prove di Imola private e, al solito, mi chiamava per uscire; però io quella sera avevo la partita di basket, la semifinale di Coppa Italia della Virtus Bologna contro Caserta”.
“Io sono un fanatico di basket e non sapevo come fare a dirgli che volevo andare a vedere la partita; gli dissi che c’era a Caserta un bravissimo giocatore brasiliano, Oscar Schmidt, e gli dissi di venire a vedere così facevamo anche una fotografia tra due grandi sportivi brasiliani. Lui la pallacanestro non sapeva nemmeno cos’era; però fu gentile e mi accompagnò. Si vide tutta la partita e andammo anche ai supplementari, quindi si beccò anche quelli, però questo fu un atto di gentilezza che mi colpì moltissimo”.
“Un’altra cosa che mi ha molto colpito di Ayrton fu una volta che andammo fuori a mangiare a Detroit, mi sembra il venerdì sera dopo le prove; andammo in un ristorantino messicano, lontano dalla pista, in una zona della città anche abbastanza malfamata, dove la gente non sapeva neanche chi era lui. Andammo in questo ristorante tristissimo e Ayrton chiese degli spaghetti da fare all’olio, che erano la sua passione. E io pensavo “Ma figurati se qua troviamo degli spaghetti”. Invece li trovarono e glieli portarono e lui era contento come un bambino. Eravamo io, lui e Angelo Orsi”.
“Ci disse una cosa che mi colpì molto. “Stasera mi voleva un ricco americano per una sera con gli amici e mi avrebbe dato 50 milioni di lire per andare. Ma io figurati se ci vado”. Gli chiedemmo il perché e lui rispose: “Se comincio a dire sì a tutti quelli che offrono dei soldi per andar fuori con Ayrton Senna, io non sono più un atleta ma divento uno che va in giro e basta”. Detto a metà degli anni ’80 era già un bel salto avanti di visione”.
Se oggi Senna guardasse la F1, per quale pilota avrebbe un occhio di riguardo secondo te?
“Penso a Hamilton perché rappresenta una lunga vita sportiva di altissimo livello ed è comunque uno che in gara lo ricorda, sbaglia poco e fa tutto al meglio. Sarebbe normale che lui guardasse a Hamilton come guardava a Prost. Non voglio dirne male dicendo che lo detestava, sarebbe un termine sbagliato, ma diciamo che non è che andava d’accordo con Alain Prost; però lo ammirava moltissimo”.
“Nel libro scritto assieme lui dice che se fosse stato un direttore sportivo e avesse dovuto prendere un pilota nella sua squadra avrebbe scelto Prost. E questo dà un’idea di come lui aveva ammirazione per gli avversari che lui considerava molto bravi, ma soprattutto anche molto capaci di arrivare alla vittoria. Per Ayrton la vittoria era fondamentale, non esisteva il secondo posto. L’ammirazione per Prost nasce appunto perché hanno vinto entrambi tanto tutti assieme; erano diversi, ma estremamente vincenti. L’idolo di Senna era Juan Manuel Fangio perché ha vinto tutto in poco tempo; 5 mondiali con 48 GP corsi in tutto dà l’idea di cosa poteva essere agli occhi di Ayrton”.
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